Alla fine del 2014 uno sconosciuto hacker penetrò nel sistema di sicurezza della Sony, svelandone i molti progetti creativi in cantiere per gli anni successivi. Il più suggestivo, tra quelli rinvenuti e pubblicati, era un audace crossover tra Men In Black, la cui saga con Tommy Lee Jones e Will Smith si era chiusa al terzo film, e 21 Jump Street. In una mail leaked, il protagonista di quest’ultimo, Jonah Hill, definiva l’idea “pulita e di successo“. Difficile dire perchè il progetto sia poi stato accantonato per produrre un soft-reboot come Men In Black: International, ma quel che è certo è che, stando ai risultati del box office, forse quell’idea era più valida di quella successivamente sviluppata.
Non è oro tutto ciò che è sequel
In un’estate (e in un’epoca ormai) di sequel e reboot, il fallimento di Men In Black: International ci ricorda, ancora una volta, come non tutti i franchise possano essere salvati o ripresi, perchè non tutte le serie hanno effettivamente qualcosa da dire. La pellicola di F. Gary Gray avrebbe dovuto espandere l’universo dei MIB e portarli in una nuova epoca allargata, avendo spostato le vicende degli Uomini (e Donne) In Nero da New York all’Europa, in particolare a Londra. L’assunzione di Tessa Thompson e Chris Hemsworth, già insieme in Thor: Ragnarok, aveva poi fatto ben sperare, così come alcuni elementi originali introdotti che sembrava potessero stuzzicare i fan. Missione fallita, così come il tentativo di resuscitare la saga di Shaft con Samuel L. Jackson. Entrambi i progetti sono dunque affondati, incassando in totale 37 milioni di dollari nella prima settimana, nonostante Men In Black: International fosse al primo posto al box office americano. Giusto per dare un termine di paragone, War – Il Pianeta delle Scimmie, acclamato dalla critica, è stato considerato scarsamente profittevole a fronte di un esordio di 56 milioni; il franchise non è stato bloccato, ma una futura pellicola appare ora a rischio, non essendo ancora stata annunciata.
Il fallimento di Men In Black: International, arrivato a stretto giro di posta dopo quello di X-Men: Dark Phoenix, altro sequel di una saga storica e milionaria, ci porta a porci un interrogativo: sono davvero necessari tutti questi sequel e reboot? Ma soprattutto, perchè Hollywood continua a produrne, andando a riesumare saghe morte e sepolte?
Cinema sempre più bisognoso di incassi
La risposta è: necessità. I sequel, infatti, restano i film che hanno la più alta probabilità di funzionare al botteghino, e di portare dunque la gente al cinema (e soldi nelle casse delle major). Con l’avvento di Netflix e piattaforme di streaming legali e non, è sempre più difficile convincere le persone ad uscire di casa e pagare un (costoso) biglietto per entrare in sala. Nella classifica dei top film del 2019 troviamo difatti ben 6 sequel, 1 prodotto come Detective Pikachu, che vuole essere l’inizio di un franchise (oltre ad essere tratto da una serie videoludica) e 2 pellicole come Aladdin e Dumbo, remake in live-action di celeberrimi film d’animazione Disney.
L’unica idea davvero originale presente in classifica è dunque Noi, horror scritto e diretto da Jordan Peele, con protagonista Lupita Nyong’o. Analizzando questi numeri dunque si evidenzia un dato ineluttabile: i sequel fanno più soldi delle idee originali, e questo perchè le persone li amano. Senza citare esempi banali come gli Avengers o Star Wars, la saga di Rocky ad esempio ha visto nuova linfa in Creed e Creed 2, così come Alla Ricerca di Dory e Jurassic World.
Le difficoltà dei nuovi franchise
Alcune idee nuove, ma non certo originali, arrivano da piccoli franchise come Attacco al Potere con Gerard Butler e John Wick, protagonista l’amatissimo Keanu Reeves, entrambi arrivati al terzo film. A questi possiamo aggiungere Taken, iniziato nel 2008 con Io Vi Troverò e nota per aver rilanciato la carriera di Liam Neeson. Iniziare nuove serie resta però comunque un azzardo: basti guardare ai fallimenti milionari di Robin Hood, King Arthur – Il Potere della Spada di Guy Ritchie, con Charlie Hunnam, o Assassin’s Creed di Justin Kurzel. Tutti film con altissimo budget e attori di primo piano, da Taron Egerton a Michael Fassbender, che hanno tragicamente fallito. Proprio il talentuoso Fassbender pare avere una certa sfortuna in questo senso, avendo partecipato anche ai prequel di Alien, Prometheus e Alien: Covenant, di cui l’attore pare essere stato l’unico elemento positivo.
Pur acclamando le sue interpretazioni, infatti, le pellicole sono state stroncate dalla critica e dal pubblico, che ha disertato le sale. Ah, quasi dimenticavamo: Fassbender è anche Magneto/Erik Lehnsherr in Dark Phoenix. Una iella nera, insomma. Anche Tom Hardy si è scontrato con la difficoltà a lanciare nuovi franchise: il suo Venom ha infatti incontrato non poche resistenze da parte della critica, sebbene il pubblico lo abbia premiato al botteghino, permettendo almeno un altro sequel. Escluso quest’ultimo caso, dunque, il fallimento di queste pellicole ha portato a perdite milionarie delle major, che quindi preferiscono tendenzialmente puntare su qualche “usato sicuro” per non incappare in clamorosi flop.
Men In Black: International e i suoi fratelli – C’è un limite a tutto
Questa moda porta però, come abbiamo visto, a forzare eccessivamente trame e avvenimenti. L’Era Glaciale per esempio pare aver terminato gli argomenti nel suo carniere, visto che con In Rotta di Collisione ha fatto un colossale buco nell’acqua, a causa della ripetitività delle trame e degli elementi fantascientifici sempre più surreali. Anche la DC ha avuto non pochi problemi con Justice League, in questo caso però maggiormente legati a problemi in fase di post-produzione, con la celebre disputa con Zack Snyder e la sostituzione di quest’ultimo con Joss Whedon a riprese ultimate. Un altro tonfo piuttosto rumoroso è quello di Hellboy, reboot con David Harbour naufragato clamorosamente. Degna di nota anche la versione al femminile di Ghostbusters.
Per quanto riguarda le idee a più alto tasso di assurdità, merita una menzione la messa in cantiere del sequel de Il Gladiatore, senza però la presenza di Russell Crowe, che ha fortunatamente avuto il buongusto di rifiutare, almeno per ora. Persino Il Grande Lebowski avrà un’opera derivata, uno spin-off incentrato sul personaggio di Jesus. Godzilla: King of Monsters merita un capitolo a parte, in quanto nonostante le prestazioni deludenti (ma non disastrose) al box office è comunque parte di un enorme progetto che non verrà intaccato da questa battuta d’arresto, anche grazie agli incassi internazionali.
Arrivati a questo punto viene da chiedersi cosa sia meglio fare per le major hollywoodiane. Continuare ad insistere con reboot e sequel triti e ritriti, sperando nell’approvazione del pubblico, o avere il coraggio di cercare idee nuove per permettere al cinema, e alle storie che racconta, di progredire? Da un certo punto di vista, forse conviene sperare che fallimenti come Men In Black: International si ripetano un pò più spesso, per far aprire gli occhi all’industria cinematografica americana e “obbligarla” a cambiare rotta.
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