Nel suo documentario The story of film: an Odyssey, Mark Cousins annunciava che alla base dell’industria filmica non vi fossero esclusivamente i soldi, bensì qualcosa di molto più potente, duraturo e fatale: la qualità e il numero delle idee. Le idee sono la colonna portante dell’intrattenimento – a volte scadenti, altre volte rivoluzionarie – e uno dei maggiori esperti che fino ad oggi sembrava in grado di gestirle alla perfezione, era proprio Vince Gilligan, sempre misurato, sempre concentrato, mai banale. Con Breaking Bad fece una scelta drastica ma saggia, ponendo fine ad un ciclo che sarebbe potuto durare all’infinito. Ora, con Better Call Saul, la scelta sembra abbastanza simile, ma ad essere cambiato è qualcosa di cruciale: l’appeal del ritmo narrativo e la percezione del pubblico.

Ogni capo che si rispetti è perfettamente in grado di prendere decisioni spesso non condivise dai collaboratori e dal pubblico di riferimento, che spesso si trova a comprendere le scelte narrative solo a posteriori, ma di questi tempi scelte del genere sono costellate da esempi negativi, come l’ultima stagione di Game of Thrones e The Rise of Skywalker. Restando in casa, lo stesso Gilligan ha prodotto un capitolo conclusivo di Breaking Bad con El Camino, film sequel che più che un vero e proprio lungometraggio sembra un super episodio finale, perfettamente congegnato secondo gli stilemi della saga ma utile solo a restituire spazio e dignità a Jesse, anziché proporre ai fan il turbinio di emozioni a cui eravamo affezionati.

Questa mancanza – forse solo apparente – di appeal suscitata da El Camino è parsa ai più come la dimostrazione che le preoccupazioni scatenate da Better Call Saul 4 erano fondate: Gilligan non sa più usare la formula magica. Un’idea del genere è il peggiore degli scenari, la catastrofe delle catastrofi, perché l’unica cosa di cui non abbiamo mai dubitato è proprio la capacità che hanno Gilligan e Gould di saper sempre prendere le decisioni migliori per tenerci incollati allo schermo. Incollatura che ad oggi sembra basarsi più sull’amore che i fan hanno per la saga piuttosto che per la sua capacità di intrattenerci. Al netto degli elementi che abbiamo per giudicare il prodotto nella sua complessità – almeno fino ad oggi – il rinnovo per una sesta stagione di Better Call Saul non sembra l’ipotesi migliore, nonostante abbia le sue ragioni.

Better Call Saul non è Breaking Bad

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Ovvio come il Sole, direte voi, e potremmo anche darvi ragione, ma a non esserne tanto consapevoli sembrano proprio Gilligan e Gould. Questo perché com’era già stato preannunciato da Giancarlo Esposito su Collider, il modello ideale al quale si stavano rifacendo gli sceneggiatori era proprio Breaking Bad, strutturato in sei stagioni – una quinta divisa in due – e sessantadue episodi. Struttura che oggi sembra voler essere quella definitiva di Better Call Saul, che in questo modo non durerebbe più della serie madre, come voluto da Gilligan. La domanda però – e con questo non intendiamo ergerci a giudici assoluti di un operato, ma critici appassionati di una serie che abbiamo amato e vorremmo veder terminare nel migliore dei modi – è se questa scelta non sia quella da evitare a priori.

Questo perché se da una parte il ritmo lento della quarta stagione giustificherebbe una dilatazione dei tempi narrativi, dall’altra il rallentamento sembra un mero pretesto per allungare un brodo le cui premesse sono un appeal in caduta ed El Camino, lungi dall’essere il prodotto che la maggior parte dei fan si aspettavano. Se questo capitasse a Better Call Saul, si avvererebbero alcune delle supposizioni che sono serpeggiate tra la fanbase più preoccupata, ovvero che nonostante la destinazione della serie sia stabilita a priori – ovvero l’avvento di Heisenberg – gli sceneggiatori non sappiano ancora come arrivarci nel migliore dei modi, motivo per cui stiano zigzagando tra un Jimmy in stand-by e una Kim che salta da un’incoerenza all’altra. Un’altra ipotesi – forse ancor peggiore – potrebbe essere una voglia di sperimentare noncurante della fanbase – vedasi Star Wars.

Tralasciando quindi l’ipotesi che tutto si risolva nel migliore dei modi, la regolare ciclicità delle due serie sarebbe sì perfetta ed equilibrata, ma rischierebbe di dare rilievo ad uno spin-off che a priori non necessitava di tanto spazio per giungere a compimento. Da qui la domanda definitiva, decisamente più critica e forse più realistica: che il percorso intrapreso da Gilligan e Gould per Better Call Saul sia il risultato di scelte prese senza lungimiranza, che hanno finito per intralciare il racconto stesso? Se così fosse, si giustificherebbe la difficoltà nel far emergere un climax appagante e il bisogno di allungare ulteriormente la durata della serie, che a conti fatti sembra infiacchita e annebbiata, proprio per la mancanza di idee vincenti. Speriamo davvero di sbagliarci; nel caso avessimo ragione, il risultato sarebbe solo uno: una triste delusione.

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