Tra le notizie che sono passate inosservate in questo periodo, ve n’è una che da sola accende numerose riflessioni. Ieri, 22 marzo, correva l’anniversario di un giorno storico per l’intera umanità. Era il 1895, il luogo era la Francia, i registi i Fratelli Lumière, gli attori i loro stessi dipendenti. Iniziava così una delle meraviglie dell’arte moderna, la settima, quella che ha creato un immaginario collettivo più potente di qualsiasi ideologia passeggera. L’uscita dalle officine Lumière ha compiuto 125 anni, ma nessuno se n’è accorto. Giustamente il Coronavirus ha distolto l’attenzione, ma potrebbe non essere l’unica ragione.
La ragione che fa da sottofondo a questo compleanno dei Fratelli Lumière potrebbe non essere solo la pandemia, bensì qualcosa di più articolato e umano. Sì, perché a pensarci bene, un compleanno del genere non ha senso festeggiarlo, se a fare gli anni è qualcosa che si da per scontato. Un po’ come la data di nascita dei nostri genitori, che spesso si dimentica, perché non siamo noi a dovergli dare attenzione, bensì cerchiamo sempre di riceverla. Col cinema potremmo ipotizzare che sia andata allo stesso modo. L’arte è divenuta commercio, il commercio soddisfa una domanda, le eccellenze del marketing la creano.
Siamo abituati ad essere anticipati dal cinema, come se fosse la massa critica di un materiale fissile utile a sostenere l’autonomia della reazione nucleare. Pensiamo che viva di vita propria all’interno della catena del consumismo, e proprio per questo diamo per scontato che esso ci preceda nel soddisfacimento dei bisogni, la cui domanda non sapevamo nemmeno di aver formulato. Proprio come coi nostri genitori, abituati a precederci perché conoscono le nostre caratteristiche. La genitorialità del cinema, cosa che forse i Fratelli Lumière all’epoca de L’uscita dalle officine Lumière non avevano previsto, ha creato una patina invisibile tra la percezione del nostro attaccamento e il soddisfacimento dello stesso.
Eppure, inconsapevolmente, proprio gli elementi di distrazione come il Coronavirus e la quarantena hanno fatto sì che il compleanno de L’uscita dalle officine Lumière lo festeggiassimo inconsapevolmente. Intrattenimento e clausura si sono uniti, sono autonomi grazie alla massa critica dell’offerta streaming, prodigio inimmaginabile dai Fratelli Lumière. Ne andiamo costantemente in cerca, ora più che mai, tanto che gli streamer hanno dovuto accettare un abbassamento della qualità di traffico per non intasare le linee internet. Se il cinema pativa la mancanza di attenzioni, è proprio in questi giorni che ne riceve di eccessive. Consolazione amara per un genitore che vorrebbe più amore dai figli, ma la dura vecchia legge dei rapporti emotivi è sempre la stessa: chi ha più giudizio ne metta.
Cari Fratelli Lumière, caro L’uscita dalle officine Lumière, caro cinema, mai come oggi la tua presenza è motivo di serenità per tutti i quarantenati del mondo. Se non abbiamo prestato abbastanza attenzione alla ricorrenza storica di questo anniversario, fondamentale per la società attuale, facciamo appello al senso cristiano del perdono, riconoscendo i nostri sbagli, promettendo – neanche troppo sinceramente – che proveremo a non darti nuovamente per scontato. Che serva un collasso della rete per farci capire quanto sei importante? D’altronde, quale genitore non ha minacciato i figli di andarsene per fargli capire quanto fosse fondamentale per la famiglia?
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