The Midnight Gospel è una nuova serie animata per adulti che potete trovare su Netflix e che parla di… Ehm… No, un momento. Perché non è così semplice. Se in molti, infatti, avevano gioito nell’apprendere che il creatore di Adventure Time Pendleton Ward fosse al lavoro su un nuovo prodotto, c’è da dire che ben pochi avrebbero potuto prevedere la direzione folle e assolutamente sperimentale che questa avrebbe intrapreso. Perché The Midnight Gospel è una serie animata, sì, ma è anche un podcast. È un trattato filosofico sulla reincarnazione e la morte, ma contemporaneamente è anche un cartone di fantascienza. È una storia di cani-cervo che vivono in un mondo dove vige una guerra tra baby-clown e insetti, ma è anche una riflessione sul perdono e l’accettazione.
Per dare un senso a queste parole e per comprendere appieno cosa si celi dietro The Midnight Gospel, si dovrebbe anzitutto partire con lo spiegare la sua genesi. E bisognerebbe dire che il Pendleton Ward appena nominato, oltre che il geniale creatore delle avventure di Finn e Jake, è sempre stato anche un grande fan del podcast condotto da Duncan Trussel, il Duncan Trussel Family Hour: una serie di interviste con ospiti dal background molto diverso, che finiscono spesso e volentieri con il diventare dei dibattiti esistenziali sulla natura dell’uomo, sul futuro del mondo e sulla sostanza di cui è fatto l’universo.
Chiacchierate decisamente impegnate, quindi, ma che grazie al tono divertito e genuinamente interessato di Trussel si potrebbero ascoltare per ore senza accorgersene. Ebbene, è proprio dall’incontro tra questi due personaggi e dalla volontà di Ward di trovare un modo per traslare il podcast di Trussel in una serie animata, che nasce quindi il nostro The Midnight Gospel: un figlio ibrido tra due mondi apparentemente molto distanti, ma che in un modo o nell’altro qui riescono a combaciare.
The Midnight Gospel: un podcast spaziale ermetico e metanarrativo
Il protagonista di questa nuova serie animata è Clancy Gilroy, un alieno dalla pelle violetta che, in quanto personificazione di Trussel (che gli presta la voce e anche la personalità), gestisce proprio uno spacecast: un podcast intergalattico che è possibile ascoltare in tutto il multiverso. Per ogni intervista, Clancy ogni volta sceglie da un ricco catalogo l’avatar più adatto al mondo in cui si vuole proiettare, infila la testa nel suo simulatore di universi a forma di vagina e via: una musica da videogioco anni ’80 lo teletrasporta in una realtà unica, allucinata e psichedelica. E stiamo parlando di mondi con invasioni zombie dove i non-morti sono esseri illuminati, di città sommerse dove robot controllati da pesci telepatici cacciano artefatti mistici su navi capitanate da gattini-pirata, di universi-tasca contenuti all’interno della pancia di dolci e soffici cagnolini.
E se già giunti a questo punto vi starete chiedendo “ma che diavolo sto guardando?” aspettate ancora un momento, perché questa è ancora la parte più comprensibile della serie. La vera sorpresa arriva infatti proprio quando Clancy comincia a dialogare, il più delle volte in maniera del tutto casuale, con la creatura che sarà protagonista della sua intervista: a questo punto la narrazione della serie si spacca in due, sovrapponendo una serie di fitte discussioni filosofiche con delle vicende animate surreali, concitate e apparentemente scollegate da quello che si sta ascoltando. Il risultato è quindi una struttura duplice, straniante e metanarrativa, che richiede che tutti gli 8 episodi di questa prima stagione (da una mezz’oretta l’uno) vengano visti due o più volte per essere apprezzati nella loro interezza.
Si può approcciare la serie per ascoltare principalmente il serafico dialogo dei personaggi, prendendo parte ad un dibattito sulla liberalizzazione delle droghe o sulla libertà dell’essere, ci si può voler invece focalizzare sul caos visivo che avviene su schermo, immergendosi in questo caso nel catastrofico massacro di un pianeta invaso dagli zombie. O, ancora, ci si può cimentare nel cercare di scovare tutte le sovrapposizioni tra il linguaggio sonoro e quello visivo, quando presenti. L’arduo compito di districarsi in mezzo a questo caos apparente è quindi lasciato proprio all’osservatore (e all’ascoltatore), che sceglierà il percorso più adatto per decodificare tutte le metafore e la complessa simbologia di The Midnight Gospel, con lo scopo ultimo di raggiungere l’esperienza finale.
The Midnight Gospel: tra filosofia e psichedelia
Appare quindi ormai chiaro quanto il linguaggio unico di The Midnight Gospel sia di difficile comprensione e, se da una parte potrebbe avere un effetto quasi ipnotico, dall’altra avrà inevitabilmente un risultato respingente per molti. Qui, dopotutto, siamo di fronte a una vera e propria overdose di informazioni che, se riesce quasi sempre a trovare un bilanciamento efficace, in diversi punti rischia di risultare distraente. C’è da dire che anche questa scelta, tuttavia, sembrerebbe voluta e consapevole, dato che la difficoltà di lettura potrebbe essere paragonata proprio allo stesso sforzo che richiedono tutti quei processi di meditazione e riflessione che cercano di far raggiungere la chiarezza più pura.
Cosa stai sentendo? Cosa stai vedendo? Quali sono l’esperienza e il significato complessivi? Il crescendo di The Midnight Gospel prosegue dalla prima all’ultima puntata, facendo assumere a questo viaggio intergalattico un terreno a volte più familiare (a la Rick and Morty, per intenderci), ma che poi devia subito dopo per raggiungere vette stilistiche come quella dell’episodio numero 5 o ancora quando, giunti verso la fine della serie, ci si ritroverà a riflettere malinconicamente sulla caducità dell’esistenza umana, sul mercato che lucra sulla morte (discutendone con la Morte in persona), sul rapporto madre-figlio e sull’accettazione della sofferenza.
Qui si gioca a stravolgere continuamente le aspettative, a prendere alla sprovvista lo spettatore e a regalare quello che fondamentalmente è un trip tanto per chi occhi quanto per la mente, in uno strano mix visionario pieno zeppo di riferimenti alle realtà oniriche contenute nei dipinti di Dalì ma anche ai fumetti di Moebius. C’è tanto L’Incal in questo The Midnight Gospel, dopotutto, ma ci sono anche Escher, Freud e persino un’abbondante spolverata de Il piccolo principe.
The Midnight Gospel: come distruggere gli schemi
Per apprezzare appieno The Midnight Gospel, quindi, non è necessaria solamente una grande dose di attenzione, ma soprattutto una predisposizione e un’apertura mentale che possano permettere di sovvertire le proprie idee. È proprio l’obiettivo primario dell’intera opera, dopotutto, quello di porsi come una grande metafora della difficoltà che si ha nell’ascoltare per davvero, soprattutto quando ci si ritrova a confrontarsi con visioni del mondo che divergono profondamente dalla propria.
Che poi questo possa essere un prodotto decisamente non adatto a tutti, su questo non ci piove: ma The Midnight Gospel resta indubbiamente un’opera che non ci saremmo mai aspettati, che bisogna apprezzare soprattutto per la sua volontà di rompere ogni schema e per la sua intenzione di farlo proponendo tematiche decisamente poco trattate dai canali più tradizionali e “mainstream”. Duncan Trussel dice che, dopo aver parlato con ognuno dei suoi ospiti, ne usciva ogni volta una persona cambiata, in un certo qual modo. Beh, forse vi potrebbe succedere lo stesso con The Midnight Gospel. E anche se non sarà così, vi assicuriamo che varrà comunque la pena di intraprendere questo viaggio.
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Riassunto
The Midnight Gospel è un prodotto difficile da descrivere a parole proprio a causa del suo ermetismo, che riesce a far convivere straordinariamente la ragione e il disordine. Dopotutto, non capita spesso di assistere a conversazioni filosofiche sui massimi sistemi in una confezione che sembra frutto di un viaggio di LSD.