
Downton Abbey, la serie british per eccellenza , è tornato per uno speciale film di poco più di due ore questa volta sul grande schermo per tutti quelli nostalgici del drama storico in costume. Il cast ha visto la partecipazione di tutti i vecchi personaggi che abbiamo imparato a conoscere nel corso delle sei stagioni portate avanti dal 2010 al 2015, tra cui Hugh Bonneville, Laura Carmichael, Jim Carter, Brendan Coyle, Michelle Dockery, Joanne Froggatt, Matthew Goode, Robert James-Collier, Elizabeth McGovern e Maggie Smith, a cui si sono aggiunti in questa pellicola anche Geraldine James e Simon Jones nei ruoli della Regina Mary e di Re Giorgio V e Imelda Staunton in quello di Lady Bagshaw.
La sceneggiatura, anche per il film, è stata scritta da Julian Fellowes ma diretta da Michael Engler. Un anno dopo si torna nuovamente nella tenuta fittizia dello Yorkshire dove questa volta la famiglia dei conti Grantham dovrà vedersela con la visita della coppia reale, niente poco di meno che il Re e la Regina d’Inghilterra e i loro domestici e servitori, portando con sé un inevitabile senso di fermento e la voglia di dare il proprio meglio, sia tra i domestici che tra i membri della famiglia.
Downton Abbey: la questione politica
Il film di Downton Abbey non è certamente un’opera che vuole essere particolarmente impegnata o che vuole lanciare qualche sorta di messaggio; è quello che Oscar Wilde chiamerebbe “arte per l’arte”, un film fatto per essere ciò che è, ovvero un film da godere senza troppe pretese, attraente verso coloro che amano il genere e nulla di più. Tuttavia, alcune questioni non sono evitabili, soprattutto in un film in cui la separazione delle classi sociali è ben netta e i protagonisti ricoprono cariche politiche, oltre ad essere proprietari terrieri. Il mondo di Downton Abbey è il mondo dove il capitalismo ha affondato le sue radici e si è ramificato in ogni angolo, seminando regole ben precise, nei modi di vivere, nelle relazioni e nei comportamenti.
La scalata sociale non è contemplata, a meno che tu non sia un ragazzo fortunato come Tom Branson.Tom Branson e Oscar Wilde hanno un comune denominatore, quello di essere entrambi irlandesi e si sa che tra Irlanda e Inghilterra non sempre scorre buon sangue, soprattutto all’interno della saga chiamata Brexit. E quindi questo film, forse addirittura più della sua serie madre, non può esimersi del tutto dal parlare di politica e della questione irlandese che agogna l’indipendenza dalla Gran Bretagna e quindi dalla Corona (ricordiamo che negli anni in cui Downton Abbey è ambientato l’Irlanda faceva ancora parte del dominion britannico).
Downton Abbey: la fotografia, il montaggio, la scenografia, i costumi
Se la storia ad alcuni è apparsa banale e poco originale o se nel complesso non è stata apprezzata, sicuramente quello che non si può negare al film di Downton Abbey è la parte tecnica: la fotografia, il montaggio, la scenografia e soprattutto i costumi. I drama in costume, per la loro caratteristica di essere ambientati, appunto in un’epoca diversa – lontana dalla nostra – forse alle volte devono puntare di più sui costumi che non sulla storia in sé. Non sempre almeno. La moda del passato contava molto di più di quello che può contare oggi e come ci si vestiva o pettinava diceva tanto, se non tutto, del ceto sociale, dello stato economico, del sangue. Apparire era la parola d’ordine di questo film, viene ripetuto diverse volte, ma suona come un peso, come una condanna. Tutti vorrebbero la vita dei Grantham, agiati, ricchi, proprietari terrieri, con l’unica preoccupazione di quale abito indossare a pranzo e quale durante il té delle cinque.
Forse quello sfarzo che usciva da ogni angolo ha iniziato a far venire il mal di testa persino a loro; uno sfarzo non magnifico ma kitsch, non elegante e ricercato ma scelto per essere il più eccessivo possibile e mostrare solo il proprio prezzo. Montaggio e fotografia parlavano molto di più delle battute; i primi piani quando si voleva lasciar scorrere le emozioni, i sentimenti perlopiù contrastanti di personaggi divisi tra il loro dovere nei confronti di quello che tutti si aspettano e i loro veri desideri, una vita più semplice e appartata, e le inquadrature dall’alto quando invece a parlare dovevano essere il paesaggio, l’atmosfera e la stessa casa di Downton.
Downton Abbey: l’arguta interpretazione di Maggie Smith
La regina indiscussa di questo cast è stata sicuramente lei, Maggie Smith, nel ruolo della Contessa madre Lady Violet Grantham. Lei aveva sicuramente tutte le battute migliori, le più ciniche e satiriche, i commenti più crudi ma anche i più divertenti, l’espressività più onesta e sagace. Sembra quasi che per lei sia stato scelto uno sceneggiatore apposito, come se Oscar Wilde fosse stato resuscitato per donare a lei i suoi aforismi migliori. Vederla battibeccare insieme a Imelda Staunton – sua ex collega dal set di Harry Potter – poi è stata quella brezza rinfrescante in una asfissiante giornata afosa. Insomma, una interpretazione che vale tutto il film.
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Riassunto
Se la storia ad alcuni è apparsa banale e poco originale o se nel complesso non è stata apprezzata, sicuramente quello che non si può negare al film di Downton Abbey è la parte tecnica: la fotografia, il montaggio, la scenografia e soprattutto i costumi. Apparire era la parola d’ordine di questo film, viene ripetuto diverse volte, ma suona come un peso, come una condanna. Montaggio e fotografia parlavano molto di più delle battute; i primi piani quando si voleva lasciar scorrere le emozioni, i sentimenti perlopiù contrastanti di personaggi divisi tra il loro dovere nei confronti di quello che tutti si aspettano e i loro veri desideri. La regina indiscussa di questo cast è stata sicuramente Maggie Smith, nel ruolo della Contessa madre Lady Violet Grantham, con una interpretazione che vale tutto il film.