Adorabile e malinconico, Grand Budapest Hotel è un film ricco di citazioni provenienti dall’età dell’oro del cinema, tra Ernst Lubitsch e Stefan Zweig. La pellicola di Wes Anderson, letteralmente carica di una gioia effervescente, è a tutti gli effetti il progetto più virtuoso della sua filmografia fino ad oggi. Grand Budapest Hotel vive in una bolla barocca sita in un’Europa antica, immaginata in un miscuglio armonioso e vivace di stili retrò, allusioni storiche e convenzioni sociali che si intersecano in mezzo a un apparente compendio di generi cinematografici, come l’avventura, il sentimentale, il comico, il tragico e il noir.

Grand Budapest Hotel è sicuramente il film più intricato e onnicomprensivo di Wes Anderson, infarcita da molteplici sapori e colori che potrebbero dare filo da torcere anche ad uno dei migliori chef e sceneggiatori, ed è molto probabilmente il capolavoro estetico e narrativo del regista. Di seguito elencheremo alcuni aspetti fondamentali della pellicola, cercando di spiegare perché Grand Budapest Hotel è così bello da vedere e perché rimarrà per sempre nella storia del cinema come esempio assoluto di virtuosismo registico.

La sceneggiatura fuori dagli schemi

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La sceneggiatura di Grand Budapest Hotel proviene da un racconto di Anderson e Hugo Guinness – i quali condividono una nomination agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale ottenuta proprio grazie al film – largamente influenzato dall’influsso stilistico del romanziere austriaco Stefan Zweig. Il racconto si divide in tre linee temporali, suddivise tra il 1935, il 1968 e il 1985, e ha come protagonisti due portieri, Monsieur Gustave H. – Ralph Fiennes – e il suo giovane apprendista Zero Moustafa – Tony Revolori – il vero protagonista del racconto che successivamente verrà interpretato da F. Murray Abraham. Scopo del film è di dimostrare l’innocenza di Gustave dopo essere stato incastrato per omicidio dal geloso e cattivo erede di una famiglia molto ricca.

Tra interruzioni di capitoli e alternanza di narratori, Grand Budapest Hotel sfoggia una sfilata quasi vertiginosa di personaggi fuori dal comune, con sbalzi temporali e di tono che rendono il ritmo del racconto quasi febbrile. Le divagazioni in cui si impelaga il copione lo rendono profondamente ricercato, edificante e da un gusto quasi bizantino. La trama si estende in molteplici direzioni, ma mantiene un ritmo cinematografico incalzante che non si ferma mai. I dialoghi sono sgargianti, arrivando ad essere quasi irrealistico, anche se è impossibile negare che sia uno dei veri punti di forza. Tutti questi ingredienti rendono Grand Budapest Hotel una ricetta forse troppo speziata, troppo pungente per alcuni, una delizia assoluta per altri.

Il Grand Budapest Hotel stesso

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Esattamente come la sceneggiatura, anche la scenografia di Grand Budapest Hotel è opulenta, stravagante e una vera opera d’arte che si apre su schemi sempre più dettagliati. L’ambientazione in un hotel di lusso deve tutto ai grandi nomi di Adam Stockhausen e Anna Pinnock, provenienti da una lunga tradizione di commedie e melodrammi in puro vecchio stile hollywoodiano. Percorrendo l’albergo si trovano diversi disegni intricati e strane combinazioni di colori – specialmente tinte di rosa pastello, viola e arancione, colore dominante nella filmografia di Anderson. Un plastico in miniatura fatto a mano alto dieci piedi ha fatto da modello fotografico per aggiungere un tocco ulteriormente surreale, in stile fiabesco.

Il modellino del Grand Budapest Hotel utilizza una prospettiva in due dimensioni, con una collina riccamente dettagliata e alberata su cui si ergeva una funicolare in primo piano. La suddivisione spaziale era sottolineata dalla presenza di diverse scale che i personaggi sfruttano comicamente durante il racconto, ognuna con una grandezza diversa. Gli interni dell’hotel, cavernoso e colorato insieme di dettagli e opere di design, racchiudono tutta la gradazione idiosincratica tipica delle opere di Anderson, come la casa a schiera de I Tenenbaums, dove gli abitanti al loro interno hanno psicologie ed emozioni simili alla personalità dell’architettura.

La colonna sonora di Alexandre Desplat

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Come in ogni film di Anderson prima di Grand Budapest Hotel, anche questo gode di una colonna sonora incommensurabile e perfettamente adattata alle sequenze, questa volta del maestro Alexandre Desplat. Avendo lavorato assieme in precedenza per Fantastic Mr. Fox e Moonrise Kingdom, i due hanno scelto per questo film un tocco più sovietico, grazie all’inserimento di balalaika suonata da uno strumento russo a tre corde e dal corpo triangolare. Combinato con gli organi clericali e qualche sprazzo orchestrale, il film ha un’anima sonora dell’est Europa che riesce ad essere sia maudlin e melodica che un genere musicale senza tempo. Non per nulla, Desplat ha vinto l’Oscar per la miglior colonna sonora originale, proprio grazie a Grand Budapest Hotel.

L’immensa quantità di dettagli

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Mentre lo scenografo Stockhausen ha prestato il suo lavoro per la parte esterna del Grand Budapest Hotel, la collaboratrice Pinnock merita dei riconoscimenti ben più altisonanti per i labirintici livelli su cui si struttura l’architettura interna dell’edificio. Entrambi gli artigiani hanno condiviso l’Oscar per la miglior scenografia, facendo compagnia all’italiana Milena Canonero, vincitrice di quello per i migliori costumi e a Frances Hannon e Mark Coulier per il miglior trucco e acconciature. Ognuno di questi artisti ha portato un tocco in più in questo mondo fantasy così elaborato, meticoloso e completo, che Anderson ha saputo amalgamare fino a portarlo in vita.

Elencare alcune delle tante chicche sparse ovunque nel film è come recitare una poesia, che vuole sottolineare quanto queste immagini – un filo decadenti seppur cariche di tinte – contengono anche una certa quantità di simbolismo in eccesso e gli elementi teatrali degni del genio visionario di Anderson – quali i bagni, i confessionali, le uniformi sgargianti, gondole, cimiteri, automobili di lusso, prigionieri eccessivamente tatuati, un’infinità quantità di dolciumi, motociclette, montagne, dipinti, bocce di profumo e treni, tanti treni. Vedere Grand Budapest Hotel è un’esperienza degna di essere vissuta solo per la quantità di dettagli in esso contenuti, apprezzarne la puntualità, precisa e spesso significante per il personaggio di turno.

Il cast corale senza precedenti

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Il cast dalle proporzioni stellari che popola questa meravigliosa fiaba cinematografica è meravigliosamente piacevole e sorprendente ad ogni nuova apparizione. Ogni personaggio è interpretato alla perfezione con una teatralità dilagante, costumi e manierismi cuciti addosso. Tra gli attori, molti di essi sono nascosti sotto chili di trucco e parrucca, come nel caso dell’anziana signora D. interpretata da un’insospettabile Tilda Swinton. Come ogni film di Anderson che si rispetti, anche in questa pellicola il regista ha potuto contare sulla partecipazione di Bill Murray e di Willem Dafoe, seppur in parti più piccole rispetto a quelle solitamente affidategli.

A dare ulteriore prestigio a Grand Budapest Hotel sono Saoirse Ronan, Jude Law, Mathieu Amalric, Harvey Keitel, Léa Seydoux, Fisher Stevens, Lisa Kreuzer e altri storici collaboratori di Anderson quali Bob Balaban, Adrien Brody, Jason Schwartzman, Owen Wilson e Wallace Wolodarsky. Alcuni di loro vengono solamente intravisti durante il film – come nel caso dei cammei di Balaban e Wilson – ma sono ulteriori dettagli che aggiungono al piacere e al ritmo vertiginoso del film una sfumatura amabile che il pubblico può solo apprezzare.

In particolare, è Ralph Fiennes a dare il meglio di sé e a fare da vero polo magnetico del film. Il suo personaggio è un direttore d’ensemble, intermediario perfetto ed elegante che si mette al servizio tanto del film quanto dell’albergo, ricalcando una sagoma quasi fumettistica di assistente, gigolo, intrattenitore, consolatore e stewart. Le sue abili doti carismatiche lo rendono soave e riescono a regalare all’attore stesso un privilegio rarissimo nella sua carriera: una vena comica. Fiennes esercita una fisicità spiccata e un tempismo comico perfetti. Una performance che speriamo apra le porte ad una futura collaborazione con Anderson.

Perché nonostante i detrattori, il pubblico lo ha adorato

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Penso che qualcuno andrà al cinema senza nessun pregiudizio e guardando Grand Budapest Hotel potrebbe pensare che il film sia piuttosto diverso da quanto visto prima di allora. Lo storytelling, però, è piuttosto semplice, e non è il primo film che faccio – ed è un lusso per me, perché sono tutto ciò che ho sempre sognato di fare!

Mentre i suoi detrattori e critici non possono mai fare a meno di sminuire il gusto estetico palesemente goloso di dettagli di Wes Anderson, i suoi fan hanno trovato in Gran Budapest Hotel una commedia meravigliosamente stilizzata, che contrastava con malinconia la carica cromatica e ritmica del film, rendendolo un racconto esauriente e meraviglioso.

Fonte: Taste of Cinema

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