
Il poster di The Laundromat mostra il salvadanaio a forma di maiale che tutti conosciamo con enormi occhiali da sole sopra quelle che si notano benissimo essere banconote di varia provenienza. Si riassume così la pellicola di Steven Soderbergh in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: i multimilionari che lottano per i loro portafogli con qualsiasi stratagemma, come documentato da Panama Papers. Il film infatti si propone di ricostruire l’infiltrazione che nel 2016 portò allo scoperto i trucchetti fiscali utilizzati da migliaia di politici, impresari, sportivi e altri. Sicuramente un ottimo manuale per gli affezionati alle società offshore.
Gli Stati Uniti sono il paradiso fiscale migliore al mondo de facto. Delaware è il terreno perfetto per la creazione di imprese fantasma, dove confluiscono criminali di tutti i tipi.
Ha affermato Jake Bernstein, autore di Secrecy Book, il libro che ha ispirato il film.
C’è molto da imparare dal Festival di Venezia questa volta e gli schermi sono diventati una sorta di libri di storia. Wasp Network di Olivier Assayas con Penelope Cruz ha ricordato la trama di spionaggio cubano che si è infiltrato tra i terroristi esiliati a Miami negli anni Novanta. Adults In the Room di Costa-Gavras ha messo in scena come gli irremovibili lupi di Bruxelles divorarono la Grecia e il suo ex ministro delle finanze, Yanis Varoufakis. American Skin, di Nate Parker, ha dipinto il razzismo negli Stati Uniti non come un ricordo di vecchia memoria, ma come quello che si vive oggi.
Il sistema deve cambiare. Nel Regno Unito hanno approvato una norma che mette la lente d’ingrandimento sulla gente ricca apparsa dal nulla per comprare enormi patrimoni. Questo non succederebbe mai negli Stati Uniti. Oggi l’1% controlla la metà del benessere. È insostenibile. La trasparenza è l’unica soluzione. Anche se in molti posti il sistema legale è corrotto e un cittadino non può perseguire i criminali né protestare in maniera efficace. Quindi, parlare di questo è l’inizio.
Ha detto Soderbergh. E per raccontarlo il regista ha scelto l’umorismo, dando alle battute di Gary Oldman e Antonio Banderas, nei ruoli dei due fondatori di Mossack Fonseca (l’ufficio di Panama che sfornava le società senza fermarsi), il compito di spiegare il sistema che si occupa di gonfiare i conti.
La commedia è il modo migliore per avvicinarsi a un argomento complesso e che possa rimanere nel pubblico.
Aggiunse Soderbergh.
È un film divertente però molto importante. La gente muore e continua a morire per queste investigazioni.
Sostenne Maryl Streep, protagonista anche lei del film.
Anche il film di Assays parte da un libro: Gli ultimi soldati della guerra fredda di Fernando Morais. In questa pellicola i protagonisti sono Penelope Cruz, Gael Garcia Bernal, Wagner Moura, Edgar Ramírez e Ana de Armas. Si limita a raccontare con fluidità come cinque uomini finsero di tradire Fidel Castro per proteggere la sua rivoluzione. Giusto, però è insufficiente.
È difficile parlare del passato, delle ultime decadi. Non ho sentito molta libertà nel momento di condivisione di ciò che provano.
Raccontò Cruz riguardo alla sua esperienza a Cuba.
Abbiamo girato in un periodo di tensione tra l’isola e gli Stati Uniti e abbiamo notato questa turbolenza. Quando abbiamo finito di filmare, già non c’erano più voli diretti tra i paesi.
Raccontò invece Assayas. Cruz ricordò anche il piacere e la difficoltà nell’imparare a parlare con l’accento cubano e condivise il proprio timore per la tendenza mondiale verso l’individualismo.
Non sempre scelgo di fare personaggi con i quali sono d’accordo al 100%. Non ho bisogno di essere come loro né devono piacermi.
Tutti i film, insomma, hanno svegliato le coscienze, le discrepanze e le conversazioni. Sulla moralità di queste catene infinite di società offshore, sui limiti del patriottismo e della sovranità e sulla tesa relazione tra la polizia e la popolazione di colore negli Stati Uniti.
Anche il ritorno di Nate Parker suscita qualche dilemma: il regista era uscito nel 2016 con Il risveglio di un popolo che divenne subito il favorito agli Oscar, ma scomparve dai riflettori quando saltò fuori un vecchio processo di violazione. Venne assolto e il suo amico incolpato, e poi scagionato. Ma si suicidò anni dopo e la carriera di Parker fu sotterrata. Il regista dichiara di non sentirsi colpevole e di non volersi scusare.
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