
Andrea Castoldi si sta senz’altro affermando, in Italia, come uno dei più promettenti registi indie del momento, grazie al successo dei suoi Ti Si Legge In Faccia e Vista Mare tra 2012 e 2017. Non si può morire ballando è un altro pezzo di un puzzle che va a delinearsi rapidamente, con un impegno sociale ed una tecnica registica di tutto rispetto. Ecco la nostra recensione.
Non si può morire ballando: sinossi
Due fratelli, Gianluca (Salvatore Palombi) e Massimiliano (Mauro Negri), vivono il dramma di una malattia da un’angolazione diversa dello stesso letto di un ospedale. Uno è seduto su una sedia. L’altro su quel letto è sdraiato, da ormai molte settimane. Gianluca ha tre mesi di vita, colpito da una malattia, chiamata “le cellule dormienti”, dalla quale non si può guarire, e che lo sta facendo scivolare nell’apatia più assoluta e totale.
Massimiliano, che trascorre ormai la maggior parte del suo tempo libero con il fratello trascurando il già delicato rapporto con la moglie, non si dà per vinto. Viene a conoscenza dell’esistenza di un vecchio studio sulla malattia, pubblicato in un libro mai più ristampato, realizzato dal Professor Bertolucci (Gianni Quillico). Massimiliano si mette sulle tracce di Bertolucci, ritiratosi a vita privata e dedito alla pesca. Il Professore, inizialmente riluttante, dona a Massimiliano l’unica copia del suo libro. Il percorso di guarigione indicato prevede di affrontare la malattia attraverso i ricordi: rivivere le emozioni più potenti della propria vita può risvegliare le cellule dormienti di Gianluca. Così Massimiliano si affida a dei giovani attori per mettere in scena alcuni dei ricordi del fratello, ormai troppo debole per riuscire dall’ospedale.
Non si può morire ballando: una metafora filosofica
“La vita altro non è che una distesa di fiori profumati, con una lavatrice rotta nel mezzo“. Con questo incipit, che sarà poi una sorta di manifesto del film nella sua interezza, inizia la pellicola di Andrea Castoldi, che potremmo anche definire sperimentale. Con riprese girate in 12 giorni, e attori principalmente non professionisti, esclusi i membri principali del cast, è infatti uno dei più fulgidi esempi di quel cinema italiano che, arrangiandosi con quello che ha, riesce ugualmente a far passare messaggi importanti.
Nonostante i pochi mezzi, la qualità del prodotto riesce ad essere piuttosto elevata, specialmente da un punto di vista prettamente registico. I piani sequenza rappresentano infatti la tecnica più utilizzata in tutta la pellicola, con dialoghi e monologhi anche molto lunghi e significativi, andando ad evidenziare tute le qualità di Castoldi, qui nelle vesti di regista e sceneggiatore. L’intento è colpire l’animo dello spettatore, stimolandone i sentimenti. Missione più che riuscita, ci sentiamo di dire, nonostante forse la pellicola parta fin troppo piano, recuperando però sul finale, con un turbinio di emozioni al quale è davvero difficile restare indifferenti.
Il tema principale è la depressione, la voglia di vivere che scompare e può essere ravvivata dai nostri ricordi più significativi. Perché il problema di Gianluca, oltre ovviamente alla malattia in sè, è il fatto che ritiene la propria vita un fallimento, una labirinto di rimpianti dal quale il fratello vuole salvarlo.
Non si può morire ballando: musiche azzeccate ed un buon cast
Le musiche originali di Andrea Mele si accompagnano perfettamente alla pellicola, andando a contrastare il tono tendenzialmente triste di Non si può morire ballando con canzoni country di un certo spessore. Gli attori, in un mix di professionisti e dilettanti, riescono ad integrarsi tra loro generalmente molto bene, specialmente i due protagonisti, Palombi e Negri. La chimica tra questi ultimi è infatti innegabile, ed è uno dei motori di questo film. Dovremmo considerare Non si può morire ballando un grido di speranza per il cinema italiano, la dimostrazione che idee nuove e fresche in giro ce ne sono eccome. Basta solo cercare bene.
Leggi anche: Non si può morire ballando – l’incontro di CinemaTown coi protagonisti del film
Riassunto
Nonostante i pochi mezzi, la qualità di Non si può morire ballando riesce ad essere piuttosto elevata, specialmente da un punto di vista prettamente registico. I piani sequenza rappresentano infatti la tecnica più utilizzata in tutta la pellicola, con dialoghi e monologhi anche molto lunghi e significativi, andando ad evidenziare tute le qualità di Castoldi, qui nelle vesti di regista e sceneggiatore. L’intento è colpire l’animo dello spettatore, stimolandone i sentimenti. Il tema principale è la depressione, la voglia di vivere che scompare e può essere ravvivata dai nostri ricordi più significativi. Dovremmo considerare Non si può morire ballando un grido di speranza per il cinema italiano, la dimostrazione che idee nuove e fresche in giro ce ne sono eccome. Basta solo cercare bene.