Peter Sellers arrivò a produrre Oltre il Giardino in una fase della sua vita professionale durante la quale il mondo aveva iniziato a dimenticare la sua comicità. I film in cui dava il meglio di sé venivano riproposti in poche sale e Sellers iniziò un declino reso ancora più ridondante dalla sua personalità, profondamente instabile e incapace di vivere una vita normale al di fuori dei ruoli di turno che si trovava a studiare per il cinema. Infatti, la vita privata dell’attore era da sempre costellata da sali scendi sentimentali causati da Sellers stesso, il quale arrivò ad abbandonare moglie e figli in virtù di un malinteso sentimentale, scaturito durante la collaborazione sul set con niente poco di meno che Sophia Loren.

Sellers era un fenomeno cinematografico legato indissolubilmente al mito delle sue capacità di improvvisazione, sfruttate a dovere dallo storico collaboratore Blake Edwards ne La Pantera Rosa e da Stanley Kubrick ne Il Dottor Stranamore, dove il regista migliore di tutti i tempi affidò all’attore ben tre ruoli diversi da interpretare in timeline alternate – inizialmente i ruoli erano addirittura quattro, ma pur di non recitare la parte del caposquadra dei bombardieri Sellers si “ruppe” una gamba, solo perché non riusciva ad imitare a dovere un accento statunitense meridionale.

Il fantasma del suo passato cinematografico lo inseguiva di set in set e di moglie in moglie, causandogli non pochi turbamenti psicologici e continue ricadute nella dipendenza da stupefacenti. Una personalità accentratrice e divoratrice di linfa vitale, Peter Sellers giunse arrenato e spossato ad Oltre il Giardino, film nel quale per la prima volta riuscì ad interpretare un personaggio, quello di Chance Giardiniere, perfettamente uguale al suo io reale: un uomo totalmente privo di una personalità strutturata e delineata dotato però di una mentalità unica, anche se sconnessa dalla realtà.

Oltre il Giardino è stato l’antenato di Forrest Gump

Oltre il giardino cinematown.it

Ne viene fuori un uomo che scivolava sul mondo dando l’impressione di essere un illuminato grazie al suo charme, scaturito da una qualche alienazione dalla realtà dovuta ad una sostanziale mancanza di connessione con ciò che lo circondava – esattamente come Sellers. Oltre il Giardino era quindi la migliore possibilità per l’attore di cimentarsi in qualcosa che potesse comunicare la travolgente unicità dell’essere nullo, pur lasciando allo spettatore il costante dubbio se Chance ci sia o ci faccia – cosa diversa per i co-protagonisti del film, che da questo atteggiamento ne traggono un irresistibile fascinazione al punto di farlo candidato per correre alla presidenza degli Stati Uniti d’America.

Il protagonista di Oltre il Giardino è un individuo che per più di cinquant’anni vive confinato all’interno dei muri di una tenuta signorile di proprietà del “Vecchio” – un presunto padre che voleva tenerlo nascosto agli occhi della gente? – all’interno della quale Chance si occupa appunto del giardinaggio, con una meticolosità e uno scrupolo verso la scienza vegetale degno di un luminare della botanica. Al di fuori di questa routine perfettamente calibrata vi è solo la televisione, unica finestra sul mondo che l’uomo però crede essere un vero e proprio contenitore di fatti e di persone.

Memorabile l’incontro col Presidente degli Stati Uniti, quando Chance ammette che “in televisione sembrava più piccolo” con una grazia ipnotica che non può non confondere le idee allo spettatore su quanto l’uomo sia connesso alla realtà. Bolla questa che dura fino alla morte del Vecchio, che costringe il mai esistito Chance ad abbandonare l’abitazione.

Non è un caso infatti se l’opera da cui è tratto Oltre il Giardino, il libro di Jerzy Kosinski – che curò anche la sceneggiatura del film di Hal Ashby – venga considerato l’antenato letterario e cinematografico di Forrest Gump, personaggio forse meno in bilico tra l’esserci e il farci, ma comunque capace di imprese immense guidate dal suo istinto primordiale tipico delle persone senza filtri, strutturate in maniera piuttosto semplice e dal modo di fare assente, quasi autistico. Il filo conduttore tra le due opere è proprio l’essenza dei personaggi, fatta di piccole cose tutte necessarie per rendere le loro dimensioni stabili e sicure, come l’amore di Jenny per uno e la presenza di piante da curare per il secondo.

Sellers usò Oltre il Giardino per esaudire sé stesso

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Quello che più resta intatto nell’immaginario comune è quanto Oltre il Giardino sia riuscito a comunicare la presenza di un confine tra la realtà dei fatti e quella percepita, fulcro drammatico attorno al quale gira tutta la narrazione. Chance esce di casa e si avventura per una Washington totalmente degradata, dove qualcuno lo ignora, altri ridono di lui, alcuni perfino sospettano che sia un pericolo per la nazione, finché non viene investito dalla moglie dell’economista più potente del Paese.

Da quel momento qualunque benestante istruito conosca Chance penserà di lui che lo sguardo ebete e assottigliato sia in realtà lo sfoggio di un sarcasmo tagliente figlio di un’intelligenza intuitiva, che gli conferisce l’abilità di ponderare ogni scelta e ogni parola. Peccato che in realtà il personaggio si comporti in questo modo a causa della propria profonda ignoranza dei fatti del mondo – ma ne siamo davvero sicuri?

Sellers utilizzò queste caratteristiche uniche per concedere a sé stesso l’irripetibile occasione di interpretare un personaggio che non si sarebbe dovuto portare dietro tra un ciak e l’altro – l’attore infatti era famoso per essere divenuto insopportabile e patetico per la sua fragile mania di essere i suoi personaggi, non avendo egli una personalità definita se non quella distruttiva che gli aveva fatto perdere ogni affetto e la stima dell’ambiente dello spettacolo – potendo quindi concedersi alla preparazione di Oltre il Giardino pensando esclusivamente ad essere autentico attingendo, per la preparazione alla parte, agli atteggiamenti e alla personalità di suo padre, individuo apparentemente marginale in realtà chiuso in sé stesso a causa di una moglie tirannica.

Il finale di Oltre il Giardino è filosofia di livello inarrivabile

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Un’edificazione, quella di Oltre il Giardino, che si conclude con la citazione dell’epitaffio più profondo e riflessivo della storia del cinema e probabilmente tra i più grandi della letteratura. La scena finale vede Chance e gli altri personaggi presenziare al funerale di un altro Vecchio della trama, quello che lo aveva accolto e portato in alto come un figliol prodigo. Chance si allontana dalla cerimonia per dedicarsi alla natura circostante, destando la curiosità di alcuni – probabilmente in cerca di una motivazione per l’ennesimo gesto apparentemente saggio e ragionato, in realtà motivato dal disinteresse – mentre alcuni potenti della Terra tramano per candidarlo alle prossime elezioni presidenziali.

Sellers e Ashby chiudono in modo enigmatico Oltre il Giardino, promuovendo la natura vuota e semplice di Chance a qualcosa di elevato, quasi illuminato, in grado di camminare sulle acque. La leggerezza della sua essenza lo ha reso un individuo in grado di sfidare le leggi della fisica e del sovrannaturale, conclamando l’ignoranza come lo strumento più efficace per farsi strada in questo mondo che ti vuole pieno di contenuti ma che si lascia abbindolare se sai proporre una versione di te stesso di cui gli altri subiscano la fascinazione. Un capolavoro di regia, di narrativa e di recitazione, che valsero a Sellers la candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista – guarda caso, proprio per il suo unico film drammatico. Ricordiamo di seguito un passaggio del discorso finale, perla memorabile della cinematografia.

Quando ero bambino mi dissero che Iddio ci aveva creato a sua immagine e somiglianza, fu allora che decisi di fabbricare specchi. Sicurezza, tranquillità, e un meritato riposo. Tutti gli scopi che ho perseguito, presto li avrò raggiunti. La vita, è uno stato mentale.

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