
L’attesissima sesta e ultima stagione di House of Cards verrà distribuita a partire dal 2 novembre 2018. Molti italiani si sintonizzeranno su Sky Atlantic – o con alternativi mezzi di fortuna – per vedere la conclusione della serie vincitrice di un Emmy divenuta un vero e proprio cult targato Netflix – la serie è a tutti gli effetti uno dei primi grandi classici della piattaforma. Ognuno, comunque, inizierà la sesta stagione di House of Cards principalmente per una ragione: vedere cosa sono riusciti a fare gli sceneggiatori in fretta e furia dopo il licenziamento – per usare un termine leggero – di Kevin Spacey, storico interprete di Frank Underwood.
Dall’ottobre scorso, quando l’attore è stato radiato da Netflix in seguito a delle accuse di cattiva condotta sessuale, abbiamo saputo che questa stagione avrebbe assunto una forma molto – ma molto – diversa. Il presidente Underwood sarebbe quindi dovuto sparire in fretta e furia, lasciando a Claire le redini degli Stati Uniti d’America. La grande domanda a questo punto è stata “riuscirà Robin Wright a reggere in solitaria il finale di stagione senza Kevin Spacey?”. Dopotutto, sin dalla prima volta in cui House of Cards l’ha mostrata capace di sfondare la quarta parete guardandoci diretti negli occhi, abbiamo desiderato una visione più profonda della sua mente manipolatrice.
Sin dal primo episodio però, la sesta stagione di House of Cards non riesce a fare a meno di vivere sotto lo spettro di Kevin Spacey, o meglio, della sua assenza. Le prime reazioni in madrepatria infatti hanno sottolineato come gli sceneggiatori abbiano fatto un lavoro piuttosto buono nella rimozione di Frank Underwood e nel ritrarre le ripercussioni di questo avvenimento, ma resta evidente quanto non ci fosse alcuna urgenza nel rimuovere ogni traccia di Spacey dalla stagione. Gli sceneggiatori sembrano aver riconosciuto che Frank non possa essere ignorato del tutto e che farlo avrebbe fatto riecheggiare lo scandalo del mondo reale nel mood della serie – come se accennare alla sua evidente assenza provochi l’effetto contrario o consenta ai discrediti contro Spacey di essere rafforzati.
Invece, l’ex presidente sembra ossessionare Claire durante la sua ascesa al potere, in un modo quasi shakespeariano. Nei momenti in cui la narrazione rallenta, si avverte – dicono – la difficoltà della donna di scrollarsi di dosso il potere che Frank esercitava su di lei, cosa che accade anche a Doug Stamper. Perfino sull’omicidio del presidente gli sceneggiatori non sembrano essere riusciti a dare una spiegazione che stacchi definitivamente la presenza di Spacey da House of Cards. Ad appesantire le difficoltà di realizzazione, anche la rappresentazione di una presidentessa ha causato non pochi grattacapi.
Ad ogni passaggio di House of Cards 6 Claire sembra dover difendere anche l’appartenenza al suo genere sessuale e questo cambiamento sembra aver strizzato fin troppo evidentemente l’occhio alle nuove tendenze hollywoodiane. In fin dei conti, le critiche più amare sono per il numero di puntate – solo otto – che non hanno permesso a Netflix – nel caso lo avesse desiderato davvero – di epurare House of Cards da Kevin Spacey e consentire a Robin Wright di concludere a dovere un ciclo narrativo di cui sarebbe potuta essere una testa di serie anche senza Frank.