Roma potrebbe essersi meritato il titolo di primo film messicano a vincere l’Oscar al miglior film straniero, ma i cineasti messicani hanno di fatto dominato le edizioni della cerimonia per gran parte dell’ultimo decennio, con artisti e prodotti che l’hanno fatta da padrone in molte categorie. La vittoria di Cuarón ha raccolto il testimone della lunga sequela di vittorie, senza precedenti, per i cineasti messicani. Negli ultimi sei anni, infatti, l’Oscar come miglior regista è andato per ben cinque volte ad uno dei cineasti messicani.
Nel 2014, proprio Cuarón lo vinse per Gravity, Alejandro G. Iñarritu per Birdman e The revenant nel 2015 e nel 2016, Guillermo del Toro con La forma dell’acqua l’anno scorso, per chiudere – per ora – il cerchio con la seconda vittoria di Cuarón, grazie a Roma. I tre cineasti messicani, conosciuti ufficialmente come i Tre Amigos, hanno trasformato da soli il Messico in una vera fucina a premi Oscar, in soli sei anni. La vittoria di Gravity è stata la prima per un regista originario del paese, e da allora gli Amigos hanno spadroneggiato nella categoria – ad eccezione del 2017, quando lo vinse Damien Chazelle per La La Land.
Confrontando gli anni ’10 di questo secolo con quelli precedenti, è evidente quanto le scelte dell’Academy abbiano avuto qualche positivi sprazzo di stampo progressista, almeno fino ad ora – e con qualche capitombolo madornale – testimoniato dal grande successo dei cineasti messicani. Negli anni 2000, quattro dei dieci vincitori per il miglior regista furono stranieri, da Roman Polanski, Peter Jackson, Ang Lee e Danny Boyle. Durante gli anni ’90, invece, solo tre dei vincitori provenivano da un paese estero agli USA, come Anthony Minghella, James Cameron e Sam Mendes, esattamente come per gli anni ’80 – gli anni ’70, invece, lo riservarono solo a Miloš Forman.