Michelangelo Antonioni è stato uno dei cineasti italiani più complessi e interessanti. Nel corso della sua carriera, non fu mai compreso pienamente dalla critica e dal pubblico. Di fatti, i film del regista italiano ebbero spesso mediocri risultati al botteghino e  furono divisivi con la critica. Anche la censura ha spesso dato molte noie ad Antonioni, che nonostante questo, è riuscito a realizzare alcuni dei più importanti capolavori della storia del cinema.

Michelangelo Antonioni nacque a Ferrara il 29 settembre 1912, da una famiglia mediamente benestante. Studiò all’Università di Bologna, successivamente si è trasferito a Roma frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia. Iniziò la sua carriera facendo l’aiuto regista per Marcel Carnè e realizzando degli interessanti documentari. Nel 1950, uscì il suo primi lungometraggio, Cronaca di un amore, che tuttavia ha iniziato ad avere successo dieci anni dopo con il film L’avventura (1960).

Michelangelo Antonioni ha realizzato quindici lungometraggi, una serie di documentari e corti. Il regista ferrarese ha vinto i premi principali dei migliori festival cinematografici d’essai: l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, il Leone d’Oro al Festival di Venezia e la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Inoltre, L’Academy of Motion Picture Arts and Sciences  gli ha assegnato nel 1995 un meritatissimo premio Oscar onorario. In omaggio a questo straordinario autore, rivisitiamo le sue opere più interessanti.

Gente del Po (1943)

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Gente del Po è il primo cortometraggio documentario di Michelangelo Antonioni. Questo film, racconta la vita quotidiana delle persone che abitano a Porto Tolle. Il documentario venne girato nel 1943, ma completato nel 1947. Nonostante sia una produzione cinematografica molto piccola, in questa opera si più notare l’attenzione di Michelangelo Antonioni nel rappresentare questo piccolo paese, con particolare cura estetica. In particolare, in questo documentario si possono scorgere le idee neorealiste. Come ha detto lo stesso regista:

Quando giravo il mio primo documentario Visconti girava Ossessione. Ero, senza saperlo, sulla  sua stessa linea.

Molto simili sono successivi cortometraggi, come N. U. (Nettezza Urbana), del 1948, che racconta le duro lavoro degli spazzini romani nel dopoguerra.

Cronaca di un amore (1950)

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Questo primo lungometraggio di Michelangelo Antonioni, racconta la difficile vita sentimentale di Paola – Lucia Bosè. La donna è stata costretta per ragioni economiche a sposare un uomo ricco, quando incontra  il su vecchio fidanzato Guido – Massimo Girotti –  e torna ad innamorarsi di lui. I due pensano di uccidere il marito. Tuttavia, a causa di un incidente, il coniuge di Paola muore prima che loro possano compiere l’atto. Ora non ci sarebbero ostacoli al ricongiungimento dei due amanti, ma Guido viene preso dal rimorso, lasciando Paola da sola.

Il film prende molto dal cinema noir. Cronaca di un amore possiede alcuni aspetti molto originali, che verranno approfonditi nei film successivi. Particolarmente riuscita è la colonna sonora di Giovanni Fusco, per il quale il compositore ha vinto un Nastro d’Argento nel 1951. Michelangelo Antonioni ha detto che nel film:

Analizzavo la condizione di aridità spirituale e anche un certo tipo di freddezza morale di alcune persone dell’alta borghesia milanese. Proprio perché mi sembrava che in assenza di interessi al di fuori di loro, in questo essere tutti rivolti verso se stessi, senza un preciso contrappunto morale, senza una molla che facesse scattare in loro la validità di certi valori, in questo vuoto interiore vi fosse materia sufficientemente importante da prendere in esame.

Questa analisi della vuotezza borghese ritornerà in molti film successivi dell’autore.

Il grido (1957)

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Il grido racconta la triste storia di Aldo – Steve Cochran. Il protagonista convive con Irma – Alida Valli – la quale è una donna sposata ma con un marito all’estero. Dopo la morte del coniuge, Irma gli confessa di non amarlo anche per via di una relazione che sta avendo con un altro uomo. Distrutto da questa  confessione, Aldo se ne va via dal paese con la figlia lasciando il lavoro.

A questo punto, prova a rimettersi insieme con la sua vecchia compagna Elvia – Betsy Blair – che lui aveva lasciato. Anche in questo caso, la storia non funziona, visto che l’uomo si ritrova più attratto dalla sorella di Eliva che della ragazza. Tenta anche di iniziare una relazione con Virginia – Dorian Gray – la quale è una proprietaria di un distributore di benzina. Tuttavia, la figlia in questo caso è un ostacolo troppo grande da superare. Rimandata la figlia a casa di Irma, l’operaio tenta di costruire una relazione con una donna che scoprirà essere una prostituta.

Scacciata quest’ultima, Aldo si reca di nuovo al paese dove trova la sua vecchia compagna, felice in compagnia di un altro uomo e di un altro figlio. A questo punto, senza più nessuno, l’uomo decide di farla finita e si butta da una torre della sua fabbrica sotto gli occhi di Irma.

Pur non avendo avuto particolare fortuna all’uscita, Il grido è considerato oggi uno dei film meglio riusciti del regista ferrarese. Il lungometraggio segna un punto di passaggio per l’artista. Da Il grido in poi l’artista iniziò a realizzare opere più personali, sempre meno dipendenti dal neorealismo. Lo stesso regista affermò:

I critici francesi hanno parlato di una nuova formula: il neorealismo interiore. Io non avevo mai pensato di dare un nome a quella che per me è sempre stata, fin dai tempi di quel documentario sui malati di mente, una necessità: guardare dentro l’uomo, quale sentimenti lo muovano, quali pensieri, nel suo cammino verso la felicità o l’infelicità o la morte.

Michelangelo Antonioni sta già in questa dichiarazione (fatta nel 1959) creando le basi concettuali sulla quale muoveranno i tre film della trilogia esistenzialista.

L’avventura (1960)

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All’inizio de L’avventura Claudia – Monica Vitti – Anna – Lea Massari – e Sandro – Gabriele Ferzetti – partono per un viaggio in barca. Anna e Sandro sono sposati ma la donna da segni di insofferenza. Claudia invece è l’amica di Anna. Mentre i tre stanno su un’isola deserta, Anna scompare misteriosamente. Caludia e Sandro tentano di trovare la donna per buona parte del film, ma senza successo. Iniziano ad affezionarsi e a creare una relazione sentimentale, sebbene nel giro di poco tempo Sandro flirti con un’altra donna. Nonostante questo Claudia lo perdona.

L’avventura è un film che ha avuto una irruzione parecchio avvincente e complessa. Nonostante alcuni problemi, Antonioni è riuscito a creare uno dei suoi film più importanti. L’avventura  fu il primo di una serie di fil che verranno chiamati dai critici la trilogia esistenziale. Gli altri due sono La notte e L’eclisse. In tutti questi tre film (e anche in Deserto rosso) il personaggio femminile è protagonista. Il regista ha dichiarato:

Do sempre molta importanza ai personaggi femminili, poiché credo di conoscere meglio le donne degli uomini. Penso che attraverso la psicologia delle donne si possa filtrare la realtà. Esse sono più istintive, più sincere.

Da questo lungometraggio, nacque un’importante relazione sentimentale e lavorativa con Monica Vitti, che è durata per parecchi anni. Il film, pur avendo avuto una grande fortuna nel corso del tempo, è stato fischiato al Festival di Cannes.  Per fortuna, la giuria della manifestazione aveva apprezzato moltissimo l’opera cinematografica, dandole il premio di categoria. Tra l’altro, lo stesso anno la Palma d’Oro la vinse La Dolce Vita di  Federico Fellini.

La notte (1961)

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La notte racconta la storia di una giornata particolare passata dai coniugi Pontano. La coppia è costituita dal marito Giovanni – Marcello Mastroianni – e dalla moglie Lidia – Jeanne Moreau. Giovanni è un intellettuale e uno scrittore di successo. I due vanno a trovare il loro amico Tommaso – anche lui scrittore e intellettuale – il quale è all’ospedale ed è gravemente ammalato. Lidia, visibilmente triste e scossa per la condizione dell’amico, se ne va via poco dopo mentre Giovanni rimane a brindare con Tommaso. Uscendo dall’ospedale, il signor Pontano si ritrova di fronte ad una ninfomane con la quale si bacia prima di essere fermato dalle infermiere che picchiano la povera donna. Il marito, poco dopo confessa tutto alla moglie, che non sembra minimamente turbata dal fatto.

Poco dopo la coppia si reca alla presentazione del libro di Giovanni (nella scena si possono notare Salvatore Quasimodo ed Umberto Eco). Tuttavia Lidia non si trova a suo agio e scappa dall’evento, andando in giro a caso per Milano. Nel suo vagabondare, la donna incontra un gruppo di ragazzi che si sta picchiando e successivamente delle persone che lanciano dei razzi. Poco dopo, Lidia ritorna a casa in compagnia di Giovanni.

I due coniugi decidono quindi di andare in un notturno dove assistono ad una danza sensuale. Anche in questo caso, Lidia è insofferente, quindi decide di andare dai Gherardini, una famiglia di industriali che ha organizzato una festa nella loro villa. Mentre Giovanni riceve un’offerta di lavoro dal signor Gherardini e flirta con la figlia ventenne dell’industriale – Monica Vitti – la moglie si chiude sempre di più in se stessa. Per di più, la donna riceve la notizia che Tommaso è morto. Dopo che i due se ne vanno dalla festa, la donna legge una lettera del marito dove c’è scritto:

Per un attimo ho capito quanto ti amavo, Lidia; è stata una sensazione così intensa che ne ho avuto gli occhi pieni di lacrime: era perché pensavo che questo non dovrebbe mai finire, che tutta la nostra vita doveva essere come il risveglio di stamane.

Sentirti non mia, ma addirittura parte di me, una cosa che respira e che niente potrà distruggere se non la torbida indifferenza di un’abitudine, che vedo come l’unica minaccia.

E poi ti sei svegliata e sorridendo ancora nel sonno mi hai baciato e ho sentito che non dovevo temere niente, che noi saremo sempre come in quel momento: uniti da qualcosa che è più forte del tempo e dell’abitudine.

Come L’avventura, La notte non venne apprezzato dal pubblico, ma moltissimo dalla critica. La notte è stato lodato anche da Ingmar Bergman, che non è mai stato un grande ammiratore del regista ferrarese, e Stanley Kubrick lo inserì nella lista dei suoi dieci film preferiti. Il lungometraggio vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino.

Grande apporto lo da a questo film Ennio Flaiano, chiamato all’ultimo minuto per sistemare la sceneggiatura. Oltre alle migliorie, lo scrittore abruzzese compose la straordinaria lettera finale. Fondamentale fu la colonna sonora di Giorgio Gaslini, jazzista che era alla prima esperienza nel mondo cinematografico. Il musicista compare nel film con la sua band nella villa dei Gherardini. Il film di Michelangelo Antonioni è anche particolarmente originale perché rappresenta, in maniera magistrale, il mondo degli intellettuali borghesi negli anni settanta.

L’eclisse (1962)

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La protagonista di L’eclisse è Vittoria – Monica Vitti – una giovane donna annoiata e insoddisfatta della vita. All’inizio del film, Vittoria si lascia con il compagno che è un architetto molto sofisticato, con una freddezza incredibile. Qualche giorno dopo aver lasciato la casa dell’ex fidanzato, si reca alla borsa di Roma dove incontra la madre. In questo caso lo stacco dalla scena precedente è impressionante. Si passa dalla calma e il silenzio quasi spettrali dell’EUR al chiasso della borsa. In questa confusione, Vittoria oltre alla madre incontra un giovane e intraprendente agente di borsa, Pietro – Alain Delon.

La stessa sera si vede con Anita – Rossana Rory – con la quale discute brevemente dei problemi sentimentali. La mattina dopo, Vittoria si reca con l’amica a fare un giro con l’aereo. Arrivata a Verona, Vittoria si reca ad un bar ed afferma di stare bene. Dopo questo quadretto “idilliaco”, la scena cambia e si ritorna alla Borsa dove incontra di nuovo Pietro. I due si vedono poi in un bar, e Vittoria chiede al ragazzo che fine facciano il soldi persi di chi gioca in borsa.

Col passare del tempo, nonostante le loro differenze caratteriali, i due ragazzi si piacciono sempre di più. Alla fine i due fanno l’amore e passano dei giorni felici insieme. Tuttavia la storia non è destinata a durare. L’eclisse è il più estremo e forse il migliore film della trilogia esitenziale. Michelangelo Antonioni prende quello che ha fatto nei film precedenti e lo rende all’ennesima potenza. Non è un caso che Scorsese pensi che questo sia il più intelligente film della trilogia. Anche questo lungometraggio, come L’avventura,  ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes, ma per capire il film è utile sentire questa dichiarazione di Antonioni sull’eclissi di sole:

Gelo improvviso. Silenzio diverso da tutti gli altri silenzi. Luce terrea, diversa da tutte le altre luci. E poi buio. Immobilità totale. Tutto quello che riesco a pensare è che durante l’eclisse probabilmente si fermano anche i sentimenti. È un’idea che ha vagamente a che fare con il film che sto preparando, una sensazione più che un’idea, ma che definisce già il film quando ancora il film è ben lontano dall’essere definito.

Tuttavia non tutto il pubblico comune è riuscito a comprendere la straordinaria raffinatezza di questo film. Nel celebre lungometraggio di Dino Risi Il sorpasso (1962), il rozzo Bruno Cortona – Vittorio Gassman – afferma:

L’alienazione, come nei film di Michelangelo Antonioni. Hai visto L’eclisse? Io c’ho dormito, ‘na bella pennichella

Il deserto rosso (1964)

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In Deserto rosso, Giuliana – Monica Vitti – è una donna che ha subito da poco un terribile incidente d’auto. Per colpa di questo trauma, la donna sembra non avere alcuna gioia dalla vita. Il marito Ugo – Carlo Chionetti – un giorno presenta alla donna un suo amico e collega Corrado Zeller – Richard Harris. I due si incontrano poco tempo dopo da soli e instaurano una buona amicizia.

Ugo, Corrado e Giuliana si ritrovano un giorno insieme con un altro gruppo di persone per passare del tempo insieme. In questi momenti, emerge la passione amorosa che Zeller ha per Giuliana e la profonda nevrosi della donna. Successivamente, Giuliana e Zeller si avvicinano sempre di più, ma l’industriale deve partire per la Patagonia. Un giorno Giuliana scopre che il figlio non può più camminare. Mentre il bambino è a letto, Giuliana gli racconta una storia. Il giorno dopo però la donna scopre che il figlio stava bene e che si era preso gioco di lei.

Questo fatto la mette in crisi e disperata va nell’albergo dove sta Corrado e fa all’amore con lui, ma neppure il tradimento sembra aver guarito Giuliana. Il lungometraggio di Michelangelo Antonioni ha avuto un grande successo con la critica internazionale. Il film ha anche vinto il Leone d’Oro al Festival di Venezia. Deserto rosso ha ricevuto critiche (tra le quali spicca quella di Ingmar Bergman) per il fatto di essere eccessivamente estetista.

Deserto rosso viene ogni tanto associato ai film precedenti, in quanto è stato prodotto in Italia e vede come protagonista Monica Vitti. Tuttavia, questo lungometraggio presenta molti aspetti differenti rispetto alla produzione precedente del regista, il più evidente dei quali è l’utilizzo del colore. In questo lungometraggio, di fatti, per la prima volta il regista si approcciò al colore e lo fece con grande attenzione ai dettagli. Ridipinse molte case e pure alberi per avere l’effetto cromatico desiderato. Ogni colore a un suo significato, si pensi all’utilizzo del giallo come simbolo del pericolo. Sopratutto rispetto alla precedente filmografia del regista, in Deserto rosso è volutamente più freddo e distaccato. Lo stesso regista ammise:

C’è una ragione che mi fa considerare Deserto rosso come molto differente rispetto ai miei film precedenti: non parla di sentimenti. Arrivo a dire che i sentimenti non vi hanno niente a che vedere. In questo senso, le conclusioni alle quali arrivano i miei altri film sono tenute, qui, per scontate.

Queste frasi rivelano come Deserto rosso sia per molti versi una sintesi dei film precedenti. Tuttavia, dialetticamente potremmo considerare questo film come un inizio per Michelangelo Antonioni di un nuovo percorso che lo porterà all’estero.

Blow-Up (1966)

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All’inizio di Blow-up, un gruppo di strani mimi viaggia a tutta velocità per le strade di Londra. Queste figure enigmatiche compariranno anche alla fine del film, giocando una partita di tennis senza palle né racchette. Molti studiosi e critici si sono chiesti il significato di questi strani personaggi, ma nessuno è riuscito a dare una risposta univoca. Dopo questa scena introduttiva, lo sguardo della camera si sposta su un cancello di un ospizio. Da questo escono varie persone disagiate, tra questi vi è il protagonista del film. Il fotografo Thomas – David Hemmings – si è nascosto di fatti da senzatetto per fare un servizio su di loro. Tuttavia lo spettatore questo non lo sa finché non si vede l’uomo salire su una macchia costosa, per andare nel suo studio.

In un certo senso, Michelangelo Antonioni ci mostra già in questa scena come la realtà sia molto più complessa di quella che vediamo rappresenta da un mezzo di riproduzione. Proprio il rapporto tra la realtà e finzione, è uno dei temi centrali del film. Antonioni di fatti ci suggerisce come sia difficile se non impossibile svelare la realtà. Come afferma il regista ferrarese:

Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima, fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa che nessuno vedrà mai, o forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà.  

Arrivato al suo studio, il fotografo si incontra con Veruschka, una celebre modella. Con lei, Thomas incomincia una sessione fotografica che assomiglia più ad un atto sessuale. In questa straordinaria scena, la macchina fotografica diventa oltre che un mezzo di piacere anche un protagonista dell’atto. Poco dopo però, Thomas si stanca della modella e se ne va annoiato portandosi via la macchina e lasciando la donna da sola.

Dopo aver fatto qualche foto alle modelle, il fotografo se ne va in un negozio di antiquario per comprarlo. Uscito dal posto senza aver concluso nulla, si reca in un parco dove crede di vedere una giovane donna abbracciarsi con un uomo molto più grande di lei. Scatta delle foto alla coppia, ma ingrandendo le foto scopre che quello che pensava di aver visto forse non era la realtà. La musica ha nel film un ruolo molto importante. Da ricordare è la bellissima colonna sonora firmata dal jazzista Herbie Hancock. Anche il rock ha un ruolo essenziale nel film. Di fatti, in una delle scene più celebri di Blow-up, Thomas si reca in un concerto degli Yardbirds.

Ad un certo punto il chitarrista Jeff Beck, arrabbiato per un difetto della cassa, distrugge la sua chitarra lanciandone un pezzo a pubblico. La folla si accalca per prendere la importante reliquia. Tra queste persone c’è anche il fotografo che riesce ad ottenere l’ambito trofeo. Ritornato in strada però, Thomas osserva attentamente il pezzo di chitarra e notando che fuori dal contesto del concerto questo oggetto non serve a nulla lo butta a terra. Un ragazzo, dopo aver visto la scena, raccoglie il frammento ma lo getta anche lui constatandone l’inutilità. Blow-up è il primo dei tre lungometraggi girati in lingua inglese da Antonioni, ed è la sua opera cinematografica più celebre. Il film è stato girato a  Londra. A proposito di questo, Michelangelo Antonioni ha affermato che:

Non intendo girare a Londra per quel che è la città oggi, ne volto e nell’anima. La mia decisione di ambientarvi il film deriva dal fatto che, valida in senso assoluto, cioè dovunque, la storia, come pure la psicologia dei personaggi che le danno vita, assume un sapore e un respiro di assai intensa carica.

Il regista ha fatto dipingere la case, l’erba e pure gli alberi del colore che desiderava. Curiosamente, il regista possiede la stessa “mania di controllo” del protagonista. Difatti, Michelangelo Antonioni, parlando del personaggio principale del film, ha detto:

Rifiuta di impegnarsi, eppure non è un amorale, un insensibile e io lo guardo con simpatia, rifiuta di impegnarsi perché si vuole tenere disponibile per qualche cosa che verrà, che ancora non c’è.

La storia del film è vagamente basata su Le bave del diavolo di Julio Cortázar. Tuttavia, Michelangelo Antonioni prende solo la parte legata alla fotografia dallo scritto dell’autore argentino. Blow-up ha vinto la Palma d’Oro al festival di Cannes, e ha avuto molti problemi con la censura, sopratutto in Italia, che tagliò due scene dove comparivano nudi integrali e una scena di sesso. Il lungometraggio venne anche sequestrato, ma successivamente rimesso in circolazione.

Zabriskie Point (1970)

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Il film incomincia mostrando una riunione di studenti che vuole compiere uno sciopero, dove ognuno di loro sembra avere un punto di vista diverso e per questo intessono lunghe discussioni. Il protagonista Mark – Mark Frechette – assiste annoiato al dibattito e poi se ne va prendendosi gioco dei ragazzi. Nella scena successiva, la giovane segretaria Daria – Daria Halprin – chiede a un addetto alla sicurezza di un grattacielo se può riprendere un suo libro. Subito dopo ci viene mostrato come lo sciopero finisca male per i giovani universitari, che vengono arrestati e portati alla centrale di polizia per essere schedati. Nel tentativo di riportare a casa un amico, Mark viene arrestato e dichiara di essere Karl Marx. Il poliziotto ignorante, non conoscendo il filosofo, scheda il ragazzo non sapendo di essere stato preso in giro.

Poco dopo, i due studenti si recano in un negozio di armi e con la scusa dell’autodifesa riescono ad ottenere varie pistole. Mentre Mark sta collezionando armi, nella azienda dove lavora Daria, il suo capo mostra ai potenziali clienti uno spot pubblicitario su un nuovo villaggio che lui vorrebbe costruire nel deserto. In questo video però tutto è finto. I protagonisti sono dei manichini e tutto il set è di plastica. Michelangelo Antonioni in questa importante scena alterna le immagini dello spot con quelle delle facce degli imprenditori. In fondo non solo il mondo che vogliono creare è finto, ma loro stessi sono dei “manichini di plastica”.

Poco dopo Daria telefona al capo, dichiarando che loro due si vedranno a Phoenix dove l’uomo ha un importante impegno lavorativo. Intanto il giovane Mark viene incolpato per l’omicidio, che non ha commesso, di un poliziotto. A questo punto, il giovane ruba un elicottero e vola nel deserto. Proprio nel deserto Mark incontra Daria, che si sta dirigendo all’appuntamento di lavoro. I due si piacciono e decidono di fare l’amore a Zabriskie Point (che è una parte della Death Valley particolarmente bella a livello paesaggistico). Amore e morte si incontrano nel momento dell’unione dei due corpi, e i due saranno costretti a lasciarsi per affrontare il proprio destino.

Zabriskie Point è il lungometraggio che venne maggiormente criticato al momento della sua uscita e che ha avuto una fortuna minore rispetto ai suoi film precedenti. Il film ebbe moltissimi problemi con la censura, per via delle scene di sesso e delle tematiche politiche trattate. Il regista venne anche accusato di aver rappresentato l’America in maniera semplicistica e stereotipata. Tuttavia, Michelangelo Antonioni ha fatto giustamente notare che:

Non sono un sociologo, il mio film non è un saggio sugli Stati Uniti: si situa al di sopra dei problemi precisi e particolari del paese. Ha essenzialmente un valore etico e poetico.

Con il passare del tempo, il film è stato molto rivalutato divenendo un vero e proprio cult. In particolare la scena dell’orgia nella valle della Morte e l’esplosivo finale sono considerati alcune delle scene più suggestive mai realizzate dal regista ferrarese. Molto importante anche in questo lungometraggio è la colonna sonora, che in questo caso è composta da una serie di pezzi rock (si passa da Rolling Stones ai Kaleidoscope), e fondamentali sono (sopratutto nel finale)  le musiche dei Pink Floyd.

Professione: reporter (1975)

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Professione: reporter parla di uno scambio di identità. Il protagonista David Locke – Jack Nicholson – trovando un cadavere in una stanza d’albergo africana, scambia la sua identità con quella del defunto. L’uomo deceduto era un trafficante d’armi e David (che intanto si è fatto crescere un paio di baffi) inizia a fare affari con un gruppo di ribelli africani. Poco dopo essere stato a Londra, David si reca a Barcellona per un secondo incontro con i clienti. Nella città spagnola, si rende conto che la moglie e un suo collega stanno cercando l’uomo con cui si è scambiato l’identità, per avere informazioni sulla “morte” di Davis.

Il reporter trova come preziosa alleata un studentessa – Maria Schneider – con cui instaura una relazione amorosa. Tuttavia la fuga dal passato sarà molto complessa. Pur non avendo vinto molti premi, il film è uno dei più belli di Michelangelo Antonioni (di sicuro è il più sottovalutato). Le performance dei due attori sono perfette, e il piano sequenza finale è un piccolo capolavoro a livello tecnico. Moravia ha scritto nella sua critica del film:

Michelangelo Antonioni, con Professione: reporter ha fatto il suo film più rigoroso ed essenziale. Fedele al principio che l’arte consiste più nel togliere che nel mettere, più nell’assenza che nella presenza, Antonioni non ha mai avuto la mano così leggera, così reticente e così allusiva.

L’avventura di Locke è data per tocchi di una discrezione che rasenta l’impercettibile. L’intercambiabilità angosciosa dei luoghi, delle situazioni e delle persone nel mondo moderno è appena accennata; fatti massicci come l’amore e la morte sono sfiorati con qualche immagine fuggitiva e poi si passa ad altro.

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