Nel secondo dopoguerra, in Italia a pezzi dopo un conflitto che aveva diviso e distrutto paese, il cinema ha aiutato in maniera profonda la ricostruzione morale e materiale del nostro paese. Ladri di biciclette di Vittorio De Sica contribuì forse più di qualunque altra opera artistica a mostrare al mondo come l’Italia avesse affrontato con dignità la dura sconfitta subita. Il film uscì nel 1948 ed è considerato tutt’ora una delle opere cinematografiche più importanti della storia del cinema e l’opera più conosciuta – assieme a Roma città aperta (1954) – del neorealismo italiano.

Ladri di biciclette racconta la disavventura di Antonio Ricci un operaio costretto a ritrovare la propria bicicletta rubata, per evitare il licenziamento. In questa avventura è accompagnato dal piccolo figlio Bruno. Alla fine del film scoprendo l’impossibilità di ritrovarla tenta disperatamente di rubarne una venendo fermato e rischiando l’arresto. Il lungometraggio si conclude con la commovente immagine dell’operaio e del figlio che si tengono la mano per le strade di Roma.

Ladri di biciclette: il racconto di Bartolini

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Il film prende spunto dal racconto di Luigi Bartolini Ladri di biciclette. Il racconto uscì sulla rivista “Città” nel 1944 e poi venne pubblicato nel 1946 dall’editore Poli (vendendo solo sessanta copie) e nel 1948 da Longanesi. Il racconto venne scoperto dallo sceneggiatore Cesare Zavattini che propose quindi a De Sica di lavorare per un film con lo stesso argomento. Tuttavia sin da subito era chiaro che il racconto di Bartolini doveva essere uno spunto e non un vero e proprio soggetto. L’unica similitudine tra il libro e il film sta nel titolo e nel fatto che entrambi trattino il furto di una bicicletta. Lo stesso De Sica ricordò che Zavattini gli disse, proponendogli l’idea per il film è uscito un libro di Luigi Bartolini, leggilo, c’è da prendere il titolo e lo spunto”Bartolini cederà i diritti per poter trarre dal libro un film a De Sica, non consapevole tuttavia che la sua opera verrà completamente ignorata per la realizzazione del film. De Sica raccontò che Bartolini “protesterà violentemente” dopo aver visto il film.

Ladri di biciclette: una storia semplice

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La sceneggiatura di Ladri di biciclette  è stata realizzata grazie al contributo, più o meno influente, di molte persone (nei titoli di testa compaiono sette nomi). Tuttavia il contributo più importante è stato dato da De Sica e Zavattini. La genialità della sceneggiatura sta nel modo semplice nel quale si affrontano tematiche importantissime. Per cui partendo da una storia quotidiana e all’apparenza banale Zavattini e De Sica arrivano ad affrontare problemi importanti della società Italiana del dopoguerra. In fondo che importanza ha il furto di una bicicletta? Ben poco di solito, ma se questa bicicletta diventa essenziale per il mantenimento della propria famiglia il furto diventa qualcos’altro. Questa idea sta alla base di altri film di De Sica, si pensi per esempio ad Umberto D. De Sica dichiarerà:

Il mio scopo è rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca, considerata dai più come materia consunta. (….)

Perché pensare avventure straordinarie quando ciò che passa sotto i nostri occhi e che succede ai più sprovveduti di noi è così pieno di una reale angoscia?

Quello che colpisce nel film è che pur essendoci un’idea politica di fondo molto forte il film non sembra mai una propaganda. I fatti accadono sopratutto per caso e non per la volontà di qualcuno. Proprio così, senza veli ideologici, lo spettatore può comprendere come la realtà delle cose vada cambiata. Come notò il critico francese Andrè Bazin:

 Il film di propaganda cercherebbe di dimostrarci che l’operaio non può ritrovare la sua bicicletta e che è necessariamente preso nel cerchio infernale della sua povertà. De Sica si limita mostrarci che l’operaio può non  ritrovare la sua bicicletta e perciò tornerà senza dubbio a essere disoccupato.

Ladri di biciclette: il bambino

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L’idea di inserire il figlio dell’operaio fu di De Sica e ad essa si deve probabilmente la grandezza del film. Nel racconto di Bartolini il bambino non è assolutamente presente. La presenza di questo nuovo personaggio permette di dare maggiore impatto umano alla storia. La cosa incredibile è che in realtà il bambino non è un’elemento essenziale per far proseguire la storia. Tuttavia la presenza del figlio che osserva e partecipa alla disavventure del padre cambia la prospettiva del film. Non si tratta più solo di ritrovare la bicicletta per non essere disoccupato ma anche per permettersi di mantenere il figlio e allo stesso tempo essere un esempio di vita per il pargolo. La grande tragedia finale per il padre quindi è doppia. Da una parte la perdita del lavoro che lo condannerà a far vivere di stenti la famiglia e sopratutto il fatto di non aver perso completamente la propria dignità davanti agli occhi del figlio. Probabilmente per questa idea De Sica prese ispirazione dal famoso film di Chaplin Il Monello (1921). Sempre Bazin scrisse:

Non sarebbe esagerato dire che Ladri di biciclette è la storia della camminata per le strade di Roma di un padre e di suo figlio.

La ricerca dei luoghi e del cast

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De Sica, sposando in pieno i concetti del neorealismo, decise di non girare nessuna scena in un teatro di posa e di servirsi principalmente di attori non professionisti. La ricerca per le location del film sono state molto accurate, tanto che nel film viene mostrata una zona di Roma ben poco accessibile ai turisti. Ben più difficile fu la ricerca degli attori. Volendo De Sica avere a che fare con attori non professionisti trovarne di perfetti per i ruoli fu molto difficile. Particolarmente arduo per De Sica fu trovare il bambino. Facendo i casting per i bambini trovò ironicamente la persona adatta per fare l’operaio. Questa persona era Lamberto Maggiorani, un operaio della Breda. Il bambino ancora non si trovava, a quel punto proprio mentre stavano girando una delle prime scene con Maggiorani comparve quasi miracolosamente quello adatto per il ruolo: Enzo Staiola. Questi piccoli aneddoti mostrano come la produzione del film dovette essere molto avventurosa ma anche la testardaggine (ripagata) di De Sica nel voler ritrovare dei volti e dei corpi adatti per i personaggi. Si noti cosa disse rispetto ai bambini che gli portavano ai provini:

o erano bellini, romantici, lisciati, o erano incapaci.

Quello che De Sica voleva era l’autenticità di un bambino che non si sarebbe probabilmente mai presentato a quei provini. Insomma non uno ricco coperto di stracci ma uno venuto dalla strada per cui gli stracci non fossero solo un costume di scena ma la realtà quotidiana.

Regia semplice e lampi di genio

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Si diceva di De Sica che facesse recitare anche i sassi. Forse i sassi no, ma è ovvio che chi riesce a rendere straordinaria l’interpretazione di un professore universitario di glottologia o un operaio della Breda, ha delle “doti sciamaniche” non indifferenti. Queste straordinarie doti De Sica le deve ai sui anni passati a recitare sulle tavole del palcoscenico, ma anche a una tendenza personale particolarmente spiccata. L’attore e regista di fatti non smetteva di essere attore neanche dietro la cinepresa dove si dilettava a recitare le varie parti presenti nel film per poter spiegare agli attori come fare. De Sica stesso ammise di curarsi in minor modo degli aspetti tecnici quando svolgeva una regia per concentrasi sulla crescita degli attori. Per il regista l’uso della telecamera non si doveva neanche notare. Non servivano orpelli tecnici nelle regie di De Sica ma solo il necessario per mostrare al  meglio i personaggi. Oltre a questo De Sica aveva delle intuizioni fulminati che gli permisero di migliorare il film. Di una di queste fu testimone un altro  grande regista italiano Sergio Leone che ebbe modo di partecipare alla realizzazione del film come assistente e comparsa. Il regista di C’era una volta in America disse:

Eravamo a Porta Portese per girare la sequenza in cui il padre del bambino vaga per trovare la bicicletta (…) quando ad un tratto lui disse: ” Ah, qui mi piacerebbe vedere una compagine di dieci, quindici preti rossi, quelli della propaganda Fides, è venuto a piovere e vorrei profittare di queste luci stupende”.

La fortuna del film

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Il film uscì il 24 novembre 1948 e commercialmente fu un disastro. In Italia venne tolto quasi subito dalle sale e per di più le persone che andarono a vederlo ne uscirono molto scontente. Il pubblico non era ancora pronto per poter osservare in maniera critica la propria miseria. C’è da contare che per anni le persone in Italia erano abituati a vedere produzioni cinematografiche molto più leggere proposte durante il fascismo. Diversa sorte subì il film all’estero, in particolare in Francia, dove il film venne subito riconosciuto come un capolavoro straordinario. L’importante cineasta francese René Clair  abbracciò commosso De Sica dopo una proiezione del film a Parigi. Ladri di biciclette vinse nel 1950 l’Oscar Onorario come miglior film straniero e venne nominato per la migliore sceneggiatura. L’influenza che questo film ha avuto nei cineasti nel corso della storia del cinema è stato gigantesco. Molti registi, attori e intellettuali considerarono, e considerano tutt’ora, questo film come uno dei più importanti della storia del cinema. Billy Wilder disse che il film era da vedere in piedi con il cappello in mano per rispetto al capolavoro che De Sica e Zavattini avevano creato.

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